Nel precedente articolo ho affrontato il tema del senso del lavoro (link all’articolo).
Ognuno di noi infatti attribuisce al proprio lavoro un senso specifico a seconda dei propri valori e delle proprie inclinazioni. Spesso, però, quando lavoriamo non ci rendiamo conto del perché facciamo le cose, e questo rischia di impoverire di molto la nostra attività. Esplicitarne il significato, invece, ci aiuta ad agire in modo più consapevole e a restare motivati sul nostro obiettivo.
Come ci insegna Viktor Frankl:
La vita non è mai resa insopportabile dalle circostanze, ma solo dalla mancanza di significato e scopo.
È fondamentale quindi interrogarsi non solo sul COSA faccio e COME lo faccio, ma anche e soprattutto sul PERCHÉ lo faccio (famoso in questo senso il contributo di Simon Sinek: vai al TED)
La questione del PERCHÉ non riguarda solo i singoli, ma anche le organizzazioni (come dimostra la diffusione della tematica del Purpose che sta prendendo sempre più piede nella letteratura manageriale contemporanea) e, a mio parere, soprattutto i Leader. È loro infatti il compito di ispirare e motivare rispetto alla missione dell’azienda.
Il nuovo paradigma della Leadership
Il vecchio paradigma del Command & Control (comando e controllo) è ormai deceduto lasciando il campo ad una sopraggiunta consapevolezza della complessità dei sistemi organizzativi in cui al Leader sono richieste abilità sempre meno connesse all’esecuzione e sempre più connesse alla creazione.
Il Leader non è chi impartisce ordini sulla base di verità apodittiche, piuttosto deve sapere prendere decisioni in modo autonomo, valutare l’opzione migliore in base al contesto, prevedere possibili scenari futuri e, inoltre, supportare il proprio team nello sviluppare le stesse attitudini di proattività, autonomia, imprenditorialità (per approfondire leggi il mio post sui driver della Leadership).
Il legame con la filosofia
Ora, questo cambio di paradigma ravvisato dagli studi sulla complessità mostra una convergenza virtuosa con la filosofia.
Nello scenario attuale la filosofia ci dà dei preziosi strumenti per affrontare le sfide della complessità.
E non intendo la filosofia in senso accademico, ma pratico: un approccio connesso con il mondo della vita, utile a interpretare il reale e a affrontare problemi della quotidianità.
La filosofia del resto da sempre è legata alla complessità (e non solo perché alcune tesi sono risultate piuttosto ostiche da comprendere), ma proprio per la sua attitudine a problematizzare i fenomeni osservati, ad andare oltre l’apparenza e a dubitare dell’ovvio.
In tema di Purpose inoltre, la filosofia aiuta a tematizzare questo aspetto essendo proprio una domanda sul senso a cui i vari filosofi nella storia hanno provato a rispondere con una loro visione del mondo (anche quelli più relativisti e scettici che sono arrivati ad affermare l’impossibilità di giungere a qualsiasi verità hanno dato una loro visione del mondo).
E voglio partire in particolare dalla Leadership per mostrare il valore pratico della filosofia.
Un Leader che ha abbandonato il paradigma del comando e controllo e che è consapevole di muoversi in un mondo complesso deve in particolare sviluppare competenze legate a 3 assi:
- Pensiero
- Azione
- Relazione
Pensiero
Il Leader moderno deve proporre soluzioni nuove, fare innovazione, ragionare fuori dagli schemi, identificare in autonomia strategie di azione, definire risultati etc. Insomma tutte attività che richiedono l’esercizio di una pratica riflessiva (sull’importanza dell’immaginazione per la Leadership oggi leggi il mio post qui).
La pratica riflessiva, da sempre appannaggio del fare filosofia, non consiste semplicemente nel riflettere su ciò che si è fatto (cioè l’osservazione su un evento passato), quanto piuttosto riflettere in modo “meta” sui propri processi cognitivi, sul proprio modo di pensare. Significa rendersi consapevoli delle assunzioni implicite che ci portano ad agire in un modo rispetto a un altro.
La filosofia diventa quindi un allenamento alla pratica riflessiva che aiuta a pensare bene, dove il focus non è tanto sull’output quanto sul processo stesso.
Nelle organizzazioni ci si trova spesso a interfacciarsi con dilemmi e trade off come per esempio:
- focus sulla performance vs. focus sulla persona
- disciplina vs. autodeterminazione
- profitto vs. sostenibilità socio-ambientale
In tutti i questi casi la pratica riflessiva è fondamentale affinché il Leader sviluppi la ridondanza cognitiva, cioè la capacità di includere punti di vista diversi, di farsi domande, di andare oltre l’ovvio e la prassi.
Azione
Qui entriamo nel campo dell’etica.
Un elemento fondativo dell’essere Leader è proprio la sua capacità di trasformare pensiero in azione e quindi la capacità decisionale che lo distingue dai ruoli più esecutivi.
Ma quali sono i criteri con cui prendiamo le decisioni?
Da Socrate in poi la filosofia è stata una ricerca su cosa è il bene. E credo che ogni Leader nell’esercizio del suo ruolo di decisore, assegnatore di obiettivi, deliberatore di norme abbia delle idee su cosa sia buono e giusto (idee spesso implicite).
La filosofia aiuta quindi a rendere esplicite queste idee e a passarle, per così dire, al vaglio della ragione.
Questo comporta lo sviluppo della capacità di giudizio.
La capacità di giudizio è ciò che ci permette di riconoscere le fallacie nelle argomentazioni, di discernere tra di loro gli argomenti in merito alla loro validità e quindi ci permette di operare scelte sane in assenza di dati lampanti o di un percorso evidente (proprio ciò che accade nelle realtà complesse dove non ci sono previsioni certe).
Gli uomini sono disturbati, non dalle cose, ma dai giudizi che si formano riguardo alle cose
Epitteto
Il saper ben giudicare per agire bene è quindi molto rilevante nel mondo contemporaneo in cui l’azione del Leader risulta particolarmente articolata. Si tratta infatti di tener conto dei molteplici stakeholder coinvolti nella decisione, di valutare la sostenibilità di alcune scelte tenendo sempre d’occhio il livello di benessere delle persone.
Relazione
Il Leader nelle organizzazioni si identifica sempre di più nella figura di un coach, perché il suo compito è far emergere il potenziale dei propri collaboratori, non dare la “pappa pronta,” ma far partorire i pensieri come un’ostetrica.
Si tratta del buon vecchio metodo socratico della maieutica.
La maieutica del coach come quella del filosofo si basa sulla pratica del dialogo.
Prima di Platone i filosofi tendevano a non scrivere per evitare che la conoscenza venisse cristallizzata in qualcosa di statico perché sapevano che questa è innanzitutto frutto di una ricerca attraverso il dialogo.
Se un Leader vuole davvero essere un facilitatore e un supporto del proprio team dovrà inevitabilmente imparare a dialogare. Nel fare questo dovrà mettere da parte le proprie convinzioni, le proprie visioni del mondo, fare epoché (sospensione del giudizio) per poter praticare un vero ascolto nei confronti dell’altro.
Solo così si consoliderà una vera relazione affettivo-educativa (come quella tra maestro e allievo) che aiuta il collaboratore a diventare sempre più autonomo e responsabile.
Conclusioni
La filosofia è un modo di vedere le cose, un metodo e uno strumento pratico a sostegno della Leadership perché aiuta a sviluppare delle competenze quali, a mo’ di esempio:
- Creare e mettere alla prova pensieri e giudizi
- Favorire il pensare insieme nella comunità attraverso il dialogo
- Attribuire senso e significato
- Aumentare la sensibilità etica
- Sviluppare la capacità di leggere il contesto
La filosofia insegna ad agire, non a parlare
Seneca